Ancora oggi, nonostante la prossima entrata nel terzo millennio e le grandi conquiste che le scienze hanno potuto effettuare in tantissimi campi della conoscenza, descrivere la storia dei territori minori appare quanto mai arduo, soprattutto laddove gli stessi non sono ancora stati oggetti di approfondite indagini pluridisciplinari.
E’ questo il caso della nostra montagna, posta a cavaliere dei territori di centri importantissimi per la Sicilia tutta, Enna, l’antica Castrogiovanni o Castrianni, la palatina Calascibetta, con le sue presenze preistoriche e protostoriche, e, verso nord, la padrona dei luoghi, Nicosia, forse l’antica Herbita, e i centri oggi spenti ed anonimi delle montagne eree del gangitano.
Per ciò che riguarda le prime età della pietra possiamo supporre che i territori centrali Erei, dominati dalla presenza della stessa Altesina, dovettero rimanere del tutto deserti e forse solo sporadicamente interessati dalla presenza di gruppi di cacciatori addentratisi in essi attraverso le principali valli fluviali.
Di tutto il Paleolitico, che in Sicilia sembra avere inizio solo con il Paleolitico Medio , le uniche testimonianze relative alla regione erea sono quelle che ci permettono di leggere una risalita di gruppi di nomadi cacciatori e raccoglitori lungo le valli fluviali del Gornalunga e del Dittaino oltre che del Simeto sino alle zone di media montagna.
Esemplare per la zona centrale della provincia di Enna è il Riparo Longo, ritrovato tempo addietro in un vallone posto a sud della odierna città di Agira e risalente al periodo detto “della Renna” che si può porre tra i trentaduemila ed i trentamila anni addietro.
Ad oggi, quindi, non un oggetto, non una selce scheggiata appartenente al paleolitico è stato indagato nell’area.
Ugualmente poverissima di testimonianze è la porzione temporale che altrove in Sicilia si appartiene al Mesolitico e al Neolitico sia aceramico che delle ceramiche impresse.
Con l’avvento del primo eneolitico, la età del rame, nella quale in realtà la presenza del minerale rimane molto limitata rispetto l’uso di altri materiali non metallici, la Sicilia vide l’ingresso di genti provenienti sia dalla regione egea, che dalla ancor più lontana regione anatolica, questo massiccio ingresso di popolazioni, con i loro diversi costumi, le credenze e le conoscenze, arricchì l’isola fornendole probabilmente un a caratterizzazione orientaleggiante che per tanto tempo rimase una caratteristica tipica delle nostre genti, e consentì una colonizzazione più densa delle aree che sino ad allora dovevano essere rimaste del tutto periferiche alla penetrazione umana.
Proprio nella età del rame, nella vicina Malpasso, una contrada posta a un paio di chilometri chilometri dall’odierno centro di Calascibetta, si formò un piccolo villaggio, posto sulla cima di una collina dirimpettaia dell’Altesina, i cui resti, purtroppo, vennero dilavati dall’azione erosiva delle acque meteoriche.
Del villaggio, comunque, vennero ritrovate le tombe, delle camere dipartentesi da un unico dromos, scavate nella roccia calcarea affiorante nella località, e quindi chiaramente collegabili ad una struttura societaria composta da clan, legati strettamente da vincoli di parentela, al punto tale da affermare tale parentela anche nella vita ultraterrena attraverso un luogo sacro di deposizione comune, una sorta di vera e propria casa comune della vita maggiore.
In queste tombe, ed alla base della collina che doveva ospitare il villaggio, vennero ritrovate delle ceramiche, delle quali i migliori esemplari sono visibili al Museo Archeologico Regionale di Enna, caratterizzate dall’uso di una pittura in rosso cupo, da forme molto particolari “con bicchieri semiovoidi con una grande ansa a nastro che congiunge un fondello lievemente aggettante con una grande piastra sopraelevata sull’orlo, ora semplicemente triangolare, ora sormontata da una appendice asciforme”.
Questo bicchiere, denominato poi bicchiere ad orecchia d’asino, fu poi ritrovato altrove in Sicilia, sia a Sud della stazione di Malpasso, che a Nord, nelle Madonie, dove caratterizzava grandemente i resti della famosa grotta del Vecchiuzzo di Petralia Sottana.
L’intera Civiltà venne denominata Civiltà o Cultura della Ceramica Rossa di Malpasso, scegliendo come luogo eponimo proprio il villaggio xibetano, ma certamente la popolazione alla quale va ascritta la ceramica stessa dovette estendere il suo dominio in grande parte della Sicilia Centrale e Occidentale, mantenendo contatti con le altre civiltà presenti contemporaneamente nell’isola e nel Mediterraneo.
I confronti che possono farsi tra la Civiltà malpassese e gli altri luoghi del Mediterraneo delle età in esame, ci indicano chiaramente una strada aperta dall’Anatolia centrale alla Sicilia, i bicchieri con la piastra ricordano alcune forme ritrovaste nel villaggio anatolico di Alishar III appartenente ad una facies del primo bronzo.
Queste popolazioni oltre che lasciarci una idea della loro religione che certamente doveva essere dominata dalle problematiche dell’aldilà e della presenza di una divinità con le caratteristiche Ktonie di Terra e di Madre, ci hanno lasciato chiari segni delle loro usanze soprattutto pastorali, tra le forme ceramiche si individua chiaramente una serie di oggetti, quali colini, quasi sempre frammentari, e attingitoi, che sembrano essere inscindibilmente legati all’uso del latte e della caseificazione, mentre altri segnali ci parlano di una rudimentale agricoltura dei cereali, mista forse ad attività di raccolta e certamente alla caccia, utile via di allargamento delle possibilità alimentari della popolazione stessa.
Sull’Altesina la ceramica di Malpasso non sembra essere stata ritrovata, ma certamente l’Altesina venne utilizzata come territorio di caccia e di pascolo da questa popolazione che stanziò un villaggio di dimensioni ragguardevoli per le proporzioni dei tempi, in un luogo troppo vicino per non interessare direttamente i territori della odierna riserva.
Dopo tempo, sempre nell’area xibetana, altre popolazioni, sempre strettamente legate al mondo del Mediterraneo Orientale ed in particolare alla regione egeo-anatolica, fondarono un nuovo centro, molto più grande di quello del Malpasso, i cui resti, per così dire urbani, non ci è dato di conoscere forse perché lo stesso centro doveva essere ubicato sulla montagna che oggi è occupata dal centro storico di Calascibetta e che quindi ha sommerso letteralmente quanto rimasto della stessa urbanità.
Di certo questa nuova popolazione, molto più numerosa e individuabile molto probabilmente con i Sicani, ci ha lasciato una enorme necropoli con tombe a grotticella, ad inumazione polisoma, poste sulla altura rocciosa di Realmese, che dagli xibetani viene detta ella “Garmisa” o delle tombe saracene.
Nelle tombe sono state ritrovate le suppellettili che sino all’VIII secolo a.C. appaiono chiaramente collegate alla civiltà detta di S. Angelo Muxaro, essenzialmente la civiltà che può essere definita come civiltà sicana, compresi i resti degli oggetti in bronzo, una delle arti maggiormente diffuse tra i sicani sembra essere proprio la metallurgia, ed in particolare le “fibule” con arco ad occhio, o a gomito ed ardiglione curvo, un vero e proprio dictat della moda di questo misterioso popolo.
Diversamente, nelle tombe più tarde, si inizia a leggere l’influsso greco, che sopraggiunge lungo i fiumi dalla costa catanese e da quella geloa, e diviene esclusiva una ceramica che potremmo definire “sicula” appartenente alle civiltà di Pantalica, del Finocchito o di Licodia Eubea. Si legge cioè, sia a Realmese che a valle Coniglio, la sostituzione della prima civiltà chiaramente siciliana, la sicana, con quella chiaramente di ceppo indoeuropeo e di parlata latino-sicula, dei siculi.
Queste popolazioni, ancora fortemente legate alla pastorizia, sicuramente attratte dalle divinità ktonie, come poi si vedrà con la allocazione dei miti di Demetra e Kore Persephone nella vicina Henna, non si limiteranno a fondare una urbanità nella zona xibetana, ma sistemeranno una serie di piccoli abitati, decisamente a carattere familiare, su tutta l’area circostante, colonizzando finalmente l’Altesina.
E’ dall’età del bronzo, quindi, che l’Altesina vede comparire la presenza dell’uomo sui suoi fianchi, e quell’uomo utilizzerà le emergenze di quarzarenite come materia per lo scavo delle tombe a grotticella ed a forno, segnale di una diffusione capillare delle genti della età del bronzo e della prima età del ferro nelle terre degli Erei.
Da questo periodo in poi tutta la zona viene interessata dalla lenta penetrazione dei greci, sia come mercanti, sia come veri e propri conquistatori, e sull’Altesina si percepisce questa lenta conquista culturale con il ritrovamento dei resti di ceramiche sia sicule che greche.
E’ questo oramai un periodo che vede l’intera zona erea riempirsi di abitati, dediti sia l’allevamento che alla agricoltura cerealicola, con l’instaurarsi di una fitta rete di commerci sia con il mondo greco che con quello delle genti puniche.
I pochi ritrovamenti ufficiali soprattutto nel campo numismatico testimoniano la grande frequenza degli scambi anche con la contemporanea giacenza di monete di conio siceliota e monete sia puniche che della madre patria greca.
Dalla cima dell’ardito monte, con un giro a trecentosessanta gradi si individuano varie alture occupate da centri abitati durante il primo millennio avanti Cristo, sia oggi abitati che oramai abbandonati, a Sud di Calascibetta, il cui nome antico non ci è dato di conoscere ma che dovette essere una sorta di possedimento ennese da cui l’uso siculo di denominarla Ex Urbis, “Sciurbi” in dialetto ennese, alla stessa Henna, popolata da genti sicule profondamente ellenizzate; ad Ovest, le alture di Capodarso e di Sabbucina, oggi disabitate ma occupate in antico da due diverse città, l’altura del Monte Giulfo, sede di un centro di modeste dimensioni ma certamente in auge nel periodo della ellenizzazione, le alture poste a Nord dell’Altesina, con la zona di Bordonaro alta e il centro di Monte Alburchia, che a detta del Professore Giacomo Manganaro dovrebbe potersi identificare con la grande città di Imachara, le alture nicosiane, forse luogo dell’antica Herbita, o della stessa Imachara o, ancora, di Engio, la cittadina fondata dai soldati di Minosse e posta a cento stadi da Agira, ed infine, verso Est, la fila delle cittadine di Agira, Centuripe, della anonima cittadina di Picinosi - Cozzo d’Edera, lungo la direttrice alta verso la piana di Catania.
La posizione della altura dell’Altesina, nonostante la notevole difficoltà frapposta alla penetrazione umana dalla asperità dei luoghi, divenne basilare per lo sviluppo della occupazione dei luoghi stessi, chi avesse voluto detenere il controllo degli Erei centrali avrebbe dovuto tenere militarmente l’Altesina, pena la difficoltà di controllo di alcune delle vie di penetrazione. Probabilmente il lento fenomeno di urbanizzazione di Henna, che tra i centri della zona diviene la città vera e propria, assoggettò per un certo tempo la montagna al suo dominio, ma per questa parte della storia ancora possiamo solo fare delle congetture, non essendoci alcuna prova sulla eventuale occupazione dell’Altesina.
Ad oggi, rimane evidente come la sommità del monte sia occupata dai resti di un piccolo ma interessante abitato che, scavato dalla équipe del Professore Giacomo Scibona, appare oggi ai nostri occhi con la presenza di diversi edifici in pietrame misto con pianta quadrangolare, posti su alcune terrazze a ridosso della cima maggiore e coperte da vento di tramontana dalle rupi quarzarenitiche, oltre che da una zona di abitato che sfrutta direttamente il bancone quarzarenitico più alto con diversi vani scavati direttamente nella roccia non solo nel battuto ma, in alcuni di essi, per l’intero vano.
Si notano silos, cisterne e stanze quadrangolari ricavate a levare nella roccia stessa, secondo un uso che è tipico di tutta l’architettura preistorica e protostorica dei popoli della Sicilia antica.
Purtroppo l’abitato è qua e là sconvolto dalle buche eseguite dai tombaroli che, in genere alla ricerca del singolo pezzo da proporre al mercato antiquario clandestino, non hanno certo badato a mantenere intatte le stratificazioni archeologiche ed hanno distrutto anche alcune delle murature originarie con una foga distruttiva degna di vere e proprie orde barbariche.
La parte costruita del centro è poi oberata anche da una parte del rimboschimento a pini, che, in maniera purtroppo diffusa nelle nostre zone , è stato effettuato proprio sopra i fragili strati delle costruzioni, divellendo senza cura alcuna intere parti dell’abitato stesso, come se le due direzioni della stessa Amministrazione Regionale, Azienda Forestale, e Soprintendenza (allora Soprintendenza di Agrigento), non riuscissero a ritrovare una politica comune nella difesa dei luoghi nella loro complessità.
Tornando al dato storico, a quanto ci è dato di sapere, l’abitato della sommità dovette rimanere in vita per tutto il periodo greco, probabilmente sino alle guerre puniche o alla Servile, mentre in seguito, come la gran parte dei centri montani della Sicilia, sia a causa del deperire della popolazione isolana, sia per l’affermarsi di una pax duratura che rendeva anacronistico lo stanziamento sulle impervie cime, il centro dovette declinare e scomparire del tutto .
Nel periodo romano però la montagna assume il primo nome che è giunto sino a noi, infatti, per la sua forma svettante verso l’alto, verso l’aere, il monte venne definito Mons Aereus “il monte aereo”, dal cui suono attraverso la corruzione della volgarizzazione siciliana prima ed italiana poi, venne l'odierno toponimo della intera catena degli Erei della quale l'Altesina è la cima maggiore.
Tutto il periodo romano, sia repubblicano che imperiale, dovette vedere l’Altesina come uno dei luoghi in cui i grandi latifondisti, magari di residenza romana, mandavano i loro schiavi a tenere le greggi, o peggio, una landa boscata nella quale potevano trovare rifugio i tanti reietti, ex schiavi, galeotti e quant’altro la società romana poteva produrre, dei quali le montagne siciliane pullulavano, almeno a quanto detto dalle fonti.
Quasi incruentemente la Sicilia passò dall’Impero Romano alla sua Pars Orientalis, con una breve parentesi gotica, e certamente nel 525 tutta l’isola era sotto il dominio di Giustiniano il grande. Poca era allora la popolazione per lo più concentrata in alcune grandi città vicine alla costa, pochissima era poi l’importanza data alle terre interne nelle quali non poteva essere coltivato il grano, unico vero interesse di Costantinopoli verso la lontana isola di Sicilia.
Col il passare del tempo, le genti del Tema bizantino, povere e lontane dagli sfarzi delle corti, impararono però ad incastellarsi, forse addirittura per munirsi intanto con contro gli esattori ed i notabili di Bisanzio e di Siracusa, ma certamente in un secondo periodo per l’arrivo di incursioni arabe capaci, a volte di penetrare anche molto a fondo nell’interno siciliano.
Così molte alture, magari luogo di antichi villaggi siculi o di Phrouria greci, dovettero venire riadattate alle abbisogne del momento con opere militari certamente di non grande valore.
Sappiamo da alcuni resti poco indagati che Calascibetta dovette essere luogo di un piccolo gruppo di cittadini bizantini arroccatisi nella zona oggi conosciuta come Madonna di Buonriposo e nelle tombe, riadattate ed allargate, della necropoli protostorica di Realmese, così pure nella vicina Nicosia, le genti di lingua ed uso greci dovettero attestarsi sulle alture del castello ove scavarono una serie di sepolcri catacombali postcostantiniani ad arcosolio che, ad oggi, sono gli unici dell’intera provincia di Enna.
L’Altesina dovette essere un luogo di passaggio, dalla Portella Creta in particolare per i traffici tra il centro di Nicosia ed Henna, che già propendeva per il nuovo nome di Castrum Hennae, luogo di comando della regione bizantina della Sicilia interna ed unico vero castello dell’intera zona.
Più avanti nel tempo, finito il lungo periodo della sudditanza siciliana a Costantinopoli, il Mons Aereus venne prescelto dagli arabi per una suddivisione geografica dell'isola appena conquistata in tre "Valli", tre regioni geografiche ed amministrative, dipartentesi appunto dalla facilmente traguardabile cima dell'Altesina.
Gli arabi cambiarono anche l’aspetto dell’intera zona, ad essi infatti, importava non solo la produzione estensiva del grano, ma la possibilità di introdurre una lavorazione intensiva dei territori agricoli, con produzioni sia agricole vere e proprie che silvo pastorali.
Nell’area dell’Altesina gli arabi danno inizio ad alcuni “casali”, dei villaggi in alcuni casi mantenutisi come luoghi abitati sino ai nostri tempi, in altri dl tutto scomparsi in seguito, ad esempio lungo due dei fiumi che dall’Altesina scendono per dare vita al Dittaino, il Bozzetta ed il Crisa, gli arabi diedero vita ai casali di Guzzetta, il cui nome arabo ci è sconosciuto, e di Tavi, che continuava il nome dell’antico centro siculo ellenizzato di Tavaca , oggi Leonforte.
A Nord della altura nascevano i centri di Cacchiamo, di Villadoro e di Regiovanni, di Bordonaro e di Rolica, mentre a meridione, sul luogo delle presenze protostoriche rinasceva Calascibetta, Cala al Xibet, appunto, come accampamento fortificato utile a cingere d’assedio il Castrum Hennae, ultimo luogo della resistenza bizantina di Sicilia.
L’epoca araba diviene per gli Erei tutti l’epoca della rinascita, ed è in questo periodo emirale che le zone che concorreranno a formare la grande regione amministrativa detta poi Taifa di Qasr Jani assumono la loro forma odierna acquistando le caratteristiche toponomastiche ed onomastiche che per lo più le contraddistinguono ancora adesso.
L’Altesina diviene quindi un forte segnacolo, un luogo di definizione geografica che acquista sempre più significato culturale per gli uomini ed inizia a segnare il limite tra l’influenza di Qasr Jani, che allora diviene la quarta città dell’isola, e la nascente Nicosia, N.qushin, secondo il geografo arabo-siculo Ibn al Idris.
La suddivisione in “Valli” venne confermata e perpetrata dai normanni che diedero ai tre valli un ruolo prettamente amministrativo e che affermarono i nomi rispettivamente di Vallis Nemoris (la regione dei boschi, o Val demone) a Nord Est, Vallis Netinus (il Val di Noto) a Sud Est e Vallis Mazariensis (Val di Mazara) ad Ovest.
Va detto però che molto probabilmente nel periodo normanno era già in auge il nuovo nome del monte, che sembrerebbe avere attinenza con l'altezza e che ha un gemello nelle zone della montagna piemontese, "l'Artesina" delle cime novaresi.
Questa coincidenza è certamente interessante in quanto proprio dalla regione novarese sembra abbiano avuto origine alcune delle colonie gallo lombarde e gallo provenzali venute in Sicilia al seguito del Gran Conte Ruggero I d'Altavilla ed andate a popolare i centri di Sperlinga e di Nicosia oltre che altri grandi e piccoli centri della Sicilia centrale nei quali ancora oggi sopravvive l’aspetto linguistico delle parlate gallo-occitaniche.
Il toponimo, che oggi è trascritto come Altesina, in dialetto siciliano assume il suono di “Artisina” o “Lartisina” ancora vivente sino al secolo scorso nel nome di un eremo posto all'interno del bosco ed oggi abbandonato, intitolato a "Santa Maria di Lartisina".
Con la affermazione della dinastia normanna e sveva, molte delle zone abitate dai coloni arabi, berberi, persiani e, comunque, musulmani, dovettero essere di nuovo spopolate a causa dell’incalzare delle nuove usanze e della creazione dei feudi, forma di amministrazione che ancora la Sicilia non aveva conosciuto.
Questa parte dell’isola in particolare venne interessata proprio dall’arrivo di genti di stirpe provenzale o gallo occitanica, alle quali possiamo fare risalire l’odierno nome di Altesina.
Queste genti, scese in Sicilia a seguito di una delle mogli del Granconte Ruggero d’Altavilla, risultarono di grande efficacia non solo nella conquista dell’isola, ma anche nella sostituzione dell’elemento arabo o di quello greco di rito orientale, dove gli stessi si presentavano particolarmente duri da assoggettare. Fu questo il caso di Nicosia, certamente abitata sia da una tribù di origine o berbera o araba che da greci ortodossi ai quali sarebbe da imputare il nome, chiaramente legato al termine di Nike e gemello della città cipriota, qui Ruggero spinse per la sostituzione quasi completa della popolazione originaria con una densissima colonizzazione occitanica che determinò la creazione di una delle isole linguistiche tutt’oggi ben vive a distanza di oltre nove secoli.
Da allora l’Altesina entrò nella sfera di influenza di Nicosia, fors’anche come possibile contraltare all’altra grande cima degli Erei, Enna, divenuta nel frattempo con la conquista normanna Castrum Johannis, ma ancora popolata da tante genti, arabe, latine, greche, giudaiche, berbere e difficile da controllare.
Nicosia sulla montagna stabilì il suo dominio non tanto con opere militari ma con la fondazione di un convento, dedicato alla Madonna ed intitolato perciò Santa Maria di Lartisina.
Il piccolo complesso, abbarbicato sulle pendici di Est del monte, è testimonio di un altro periodo della storia del monte, legato alla Sicilia delle Laure ma durato sino al secolo scorso, quando ancora, una volta l'anno, i monaci eremiti ivi ospitati, scendevano in pellegrinaggio sino alla vicina Calascibetta.
Il Convento, oggi ridotto ad un rudere, aveva la chiesa di modeste dimensioni, dedicata a Sant’Erasmo, e posta su di un grande masso erratico sul quale oggi si possono vedere i primi filari della costruzione con due cantonali ben intagliati e le mensole di una bella balconata. Interessante è notare le opere di fondazione delle murature della chiesetta nella roccia del masso quarzarenitico, e, dal lato corto di settentrione, una cavità posta ai piedi del masso stesso ed utile come trabocchetto di difesa passiva. Sempre nella roccia, sul lato di Ovest, intagliato a barbacane sempre per motivi di difesa, si potrà osservare una nicchia arcuata di probabile funzione edicolare.
Accanto al masso si erge ancora la muratura esterna di un vasto ambiente a struttura planimetrica rettangolare con un bel portalino di ingresso su di uno dei lati lunghi e con l'apparenza di sala comune per l'abitazione dei monaci evidentemente legati ad una regola di massima frugalità. Attorno questo piccolo convento sino al secolo scorso si componeva una modesta comunità di cittadini nicosiani, una sorta di vera e propria “frazione” urbana della bella città nicolina, quasi certamente dedita alle attività agro silvo pastorali.
Il territorio dell'Altesina, che venne infeudato all'Universitas della città demaniale di Nicosia, divenne terreno di Uso civico, dedicato all'approvvigionamento dei beni prodotti dal bosco, legna e frutta, e al pascolo dei suini, concorrendo poi nel nostro secolo alla creazione della Azienda Speciale Silvo Pastorale del Comune di Nicosia, che ancora ne possiede grandi appezzamenti.
Altri feudi sorsero poi ai piedi della montagna, questa volta infeudati a famiglie nobiliari di residenza o nicosiana o xibetana, nacque così la bella masseria, oggi diruta, dell’Altesinella, posta alle pendici meridionali del monte, o la interessantissima costruzione dell’Erbavusa, luogo di un castelletto a pianta quadrangolare con torri angolari, parzialmente distrutto dal sisma del 1693 e ricostruito in forma di palazzo di campagna nel 1700, ancora oggi centro del grande ed omonimo feudo di proprietà dei Duchi di Misterbianco, o, ancora, la masseria di contrada Montagna di Mezzo, nel territorio di Leonforte, oggi quasi completamente diruta ma ancora affascinante per la sua forma e per la panoramicità del suo sito.
Uno di questi feudi, quello della Baronia di Tavi, inserito nella Comarca di Castrogiovanni, dopo varie vicissitudini pervenne ai Branciforte, una nobile famiglia di lignaggio normanno, i quali, con il loro esponente Blasco, chiesero ed ottennero lo Jus populandi, il diritto di fabbricare e popolare, per un nuovo paese.
Nacque così, dominato dall’alta cima dell’Altesina, il centro di Leonforte, che prese il nome dalle armi gentilizie dei Branciforte e che nel giro di meno di quattro secoli dalla sua fondazione è divenuto il terzo paese della provincia di Enna superando infine la stessa Nicosia alla quale sottrasse parte del suo territorio.
Con la promulgazione della legge di abolizione dei diritti feudali nel 1812, venne abolita la suddivisione amministrativa dell'isola nei tre Valli e nelle quarantadue comarche e la stessa venne sostituita con la creazione delle sette provincie originarie e dei circondari, l'Altesina, con tutto il territorio che faceva capo alla Civitas Demaniale di Nicosia, venne a far parte dell'omonimo circondario e della provincia di Catania sino al 1926, anno in cui il circondario venne annesso alla novella provincia di Enna, la vecchia Castrogiovanni, che da allora assurse al ruolo di capoluogo di provincia.
Oggi l’Altesina, nella sua porzione più lata, appartiene quasi per intero al Comune di Nicosia mentre solo una fascia posta lungo la strada Erbavusa - Portella Creta - Villadoro, fa capo al comune di Leonforte.